I presupposti che mi accompagnano
Ogni persona è attiva ed esperta di se stessa
Ciò che mi orienta nella pratica della psicoterapia è la Teoria dei Costrutti Personali di Georg Kelly e le successive elaborazioni.
Secondo questa teoria, la persona è vista nella sua totalità, non viene suddivisa in comportamenti – cognizioni – emozioni. L’attenzione è rivolta a comprendere come la persona sceglie di muoversi nel mondo, che senso e che significato dà a sé stessa, agli accadimenti della sua vita e alle relazioni che instaura. La persona quindi è vista come attiva ed esperta di sé stessa.
Ho sempre pensato che ogni persona sia unica, originale, irripetibile, che ognuna sia inserita in una prospettiva storica e che ognuna abbia il proprio punto di vista. Per questo ho sempre faticato a inserire le persone, e il disturbo che portano in terapia, all’interno di categorie diagnostiche predefinite.
Quando un cliente mi chiede che tipo di patologia ha, se è depresso o ansioso o bizzarro, o quando mi chiede quanto grave sia il problema che presenta, mi trovo in difficoltà a rispondere nei termini più canonici proprio perché parto da un presupposto diverso e cioè che non ci sia un’unica linea giusta o sbagliata da seguire o da evitare, ma che ci siano tante sfumature diverse quante sono le persone.
Il disturbo
Le persone si muovono nel mondo nel miglior modo possibile per loro, in quel momento
Penso che le persone si muovano nel mondo nel modo che per loro, in quel momento, è il migliore possibile. Ci sono poi momenti nella vita in cui quel modo di muoversi che ha funzionato sino a lì, sembra non valere più, sembra non avere lo stesso senso e lo stesso significato. È in questi momenti che la persona può sentirsi spaesata, confusa, persa, disorientata, spaventata, irriconoscibile ai suoi stessi occhi.
Ecco che per provare a ristabilire l’equilibrio ci si muove per cercare di ridare un senso alle cose. A volte lo si fa evitando di prendere delle scelte, percependosi immobili e senza più alcun entusiasmo, altre volte, al contrario, si fanno scelte poco ponderate sull’onda dell’impulsività come se non si fosse più padroni delle proprie azioni. Altre volte ancora, ci si può ritrovare a “saltellare” da un modo all’altro, dal fare apparentemente senza un motivo preciso, al non fare nulla… si può far fronte alla difficoltà in mille altri modi. Ciò che può accomunare tutte queste espressioni diverse del disagio è il fatto che le persone si esprimono raccontando, in modi diversi, di un arresto del movimento, come se la strada del loro cammino fosse terminata sotto i loro piedi e non riuscissero più a vedere da che parte riprendere il percorso.
Il disturbo, nella Teoria dei Costrutti Personali di G. Kelly, è visto proprio come un blocco del movimento di una persona – partendo dal presupposto che le persone siano sempre in movimento nella loro vita. Questo blocco può essere raccontato in tanti modi diversi: con un senso di sospensione, di arresto, o come se ci si sentisse impantanati, nelle sabbie mobili, soffocati, zittiti, senza più una direzione, senza più uno scopo nella vita, allo sbaraglio.
La Psicoterapia
La psicoterapia, per come la intendo io, è quello spazio in cui aprire direzioni di movimento che permettano alla persona di sentirsi nuovamente in viaggio e rivitalizzata. Con le parole di G. Kelly “la psicoterapia dovrebbe far sentire alla persona che sta tornando a vivere” (Kelly, 1980). Non si tratta, quindi, di uno spazio dove esprimere consigli o dispensare insegnamenti su ciò che sia giusto o sbagliato, ma di un luogo dove riorientarsi verso un movimento attraverso la comprensione del senso e del significato che il mondo assume per l’individuo e dell’esperienza personale che ne fa.
La Psicoterapia
Per come la intendo io, dovrebbe essere quello spazio in cui aprire direzioni di movimento che permettano alla persona di sentirsi nuovamente in viaggio e rivitalizzata. Come dice Kelly “la psicoterapia dovrebbe far sentire alla persona che sta tornando a vivere” (Kelly, 1980). Non si tratta, quindi, di uno spazio dove esprimere consigli o dispensare insegnamenti su ciò che sia giusto o sbagliato, ma un luogo dove riorientarsi verso un movimento attraverso la comprensione del senso e del significato che il mondo assume per l’individuo e dell’esperienza personale che ne fa.
Il Terapeuta
In questo processo mi piace pensare alla figura del terapeuta come ad una persona non giudicante, accogliente e comprensiva, aspetti che non escludono però una riflessività critica.
Il terapeuta diventa quella persona che pone “buone” domande, non quella che dà risposte o consigli; quella persona che, attraverso i propri strumenti professionali, apre a nuove prospettive e cerca di favorire una revisione del modo di vedere alle cose permettendo così un ripristino del movimento.
Il terapeuta diventa una persona con la quale confrontarsi davanti ad un bivio per prendere in considerazione vincoli e possibilità delle alternative percorribili e arrivare a scegliere l’alternativa preferibile per quella persona in quel momento. La persona viene incoraggiata a sviluppare la vita lungo le linee da lei stessa scelte. Terapeuta e cliente sono quindi impegnati in una relazione di reciproca costruzione.
Il terapeuta
In questo processo mi piace pensare alla figura del terapeuta come ad una persona non giudicante, accogliente e comprensiva, aspetti che non escludono però una riflessività critica.
Il terapeuta diventa quella persona che pone “buone” domande, non quella che da risposte o consigli; quella persona che, attraverso i propri strumenti professionali, apre a nuove prospettive e cerca di favorire una revisione del modo di vedere alle cose permettendo così un ripristino del movimento.
Il terapeuta diventa una persona con la quale confrontarsi davanti ad un bivio per prendere in considerazione vincoli e possibilità delle alternative percorribili e arrivare a scegliere l’alternativa più percorribile per quella persona in quel momento. La persona viene incoraggiata a sviluppare la vita lungo le linee da lei stessa scelte. Terapeuta e cliente sono quindi impegnati in una relazione di reciproca influenza.
I protagonisti della psicoterapia
La psicoterapia diventa una conversazione orientata terapeuticamente. Non sono chiacchiere, non è un dialogo tra sconosciuti né tra amici e le sedute non sono lezioni.
Riprendendo le parole di G. Kelly, la relazione psicoterapeutica è un’impresa comune dove «il cliente fortunato ha un partner, lo psicoterapeuta. Ma neanche lo psicoterapeuta conosce la risposta finale; e così affrontano il problema insieme. Date le circostanze, non possono far altro che indagare entrambi, ed entrambi rischiare errori occasionali. Affinché possa essere uno sforzo genuinamente cooperativo, ognuno deve cercare di comprendere ciò che l’altro propone, e ognuno deve fare ciò che può per aiutare l’altro a comprendere ciò che lui stesso è pronto a tentare in seguito. Formulano congiuntamente le loro ipotesi. Possono anche fare esperimenti congiuntamente e l’uno con l’altro. Insieme valutano attentamente i risultati e rivedono le loro comuni intenzioni. Nessuno dei due è il capo, né sono soltanto dei vicini educati che si tengono a distanza da faccende sgradevoli. Si tratta, nella misura in cui sono capaci di renderla tale, di una partnership».
I protagonisti della relazione psicoterapeutica, dell’elaborazione conversazionale, sono quindi almeno due: il cliente (esperto di sé stesso) ed il terapeuta che ci proponiamo di considerare come un “artista conversazionale”. Senza la collaborazione di uno di questi due protagonisti non può compiersi la psicoterapia.
I protagonisti della psicoterapia
La psicoterapia diventa una conversazione orientata terapeuticamente. Non sono chiacchiere, non è un dialogo tra sconosciuti né tra amici e le sedute non sono lezioni.
Riprendendo le parole di Kelly, la relazione psicoterapeutica (o processo terapeutico) è un’impresa dove «il cliente fortunato ha un partner, lo psicoterapeuta. Ma neanche lo psicoterapeuta conosce la risposta finale; e così affrontano il problema insieme. Date le circostanze, non possono far altro che indagare entrambi, ed entrambi rischiare errori occasionali. Affinché possa essere uno sforzo genuinamente cooperativo, ognuno deve cercare di comprendere ciò che l’altro propone, e ognuno deve fare ciò che può per aiutare l’altro a comprendere ciò che lui stesso è pronto a tentare in seguito. Formulano congiuntamente le loro ipotesi. Possono anche fare esperimenti congiuntamente e l’uno con l’altro. Insieme valutano attentamente i risultati e rivedono le loro comuni intenzioni. Nessuno dei due è il capo, né sono soltanto dei vicini educati che si tengono a distanza da faccende sgradevoli. Si tratta, nella misura in cui sono capaci di renderla tale, di una partnership». I protagonisti della relazione psicoterapeutica, e quindi dell’elaborazione conversazionale, sono due (almeno): il cliente (esperto di sé stesso) ed il terapeuta che ci proponiamo di considerare come un “artista conversazionale”.
Senza la collaborazione di uno di questi due protagonisti non può compiersi la psicoterapia.